PERCORSI VERDI

Per conoscere meglio la Val Curone...
... e riscoprirla.

La Via del Sale
Monte Ebro e Monte Giarolo

LA VIA DEL SALE

Uno degli itinerari più affascinanti e suggestivi da intraprendere è quello che ripercorre l'antica Via del Sale, attraverso i tortuosi sentieri che dalle prime balze dell'Appennino conducevano all'entroterra ligure. Un tempo percorsa dai mercanti per raggiungere gli sbocchi sul mare, la Via del Sale, che in realtà ha numerosi percorsi che si svolgono lungo i crinali della Pianura Padana verso la costa, è oggi diventata un appuntamento tradizionale per gli amanti del trekking. Ci si deve misurare con una escursione piuttosto impegnativa che, partendo da Capannette di Cosola, ci porta ad oltrepassare i monti Cavalmurone (m. 1670), Carmo (m. 1640) ed Antola (m. 1597) e a raggiungere, dopo tre giorni di cammino, lo splendido golfo del Tigullio presso Rapallo. (Per maggiori informazioni sulla Via del Sale, vedere la guida Oltrepò e dintorni, "Itinerari per quattro stagioni", Edo Edizioni Oltrepo', pag. 203, Un trekking sulla Via del Sale). La strada del sale consta di molteplici percorsi, alcuni di questi attraversano la Val Curone.

Un Trekking sulla via del sale (Oltre n.16-1992)

Un temporale sulla città, un autobus in ritardo, un treno perduto ad ora tarda, uno sciopero incombente: una serie di incidenti di percorso che il caso dispettoso mette insieme in una sera di ottobre sulla strada da Milano a Genova.
Forse. Ma a quella fermata d’autobus, lungamente agognato, in quella stazione semivuota, spontaneamente nasce l’umana compagnia, timidamente il genere umano esce dai suoi nascondigli d’egoismo per parlarsi, per accompagnarsi.
Su un rapido Milano-Genova, stranamente, meravigliosamente i viaggiatori, sparsi in solitaria regalità, si avvicinano verso un unico luogo, come attirati da una luce e da un calore speciale e così si ritrovano tutti in un’unica carrozza a parlarsi. Ed io pensavo a quanto eravamo noi tutti simili ad un trepido gruppo di mercanti o medioevali pellegrini, che si stringono l’uno all'altro, si sostengono su solitari sentieri guardandosi intorno, timorosi di scorgere, tra selve e dirupi, facce fosche di briganti o baluginare di uniformi di signorotti locali, desiderosi di imporre pedaggi, attirati dalle gonfie bisacce, che si intravedono sotto i mantelli. Non certo lucide ventiquattrore, ma sacchi e fagotti si stringono ai viandanti e così, lungo la via, si riuniscono a gruppi, cercando nel numero una parvenza di difesa.
E non è questa, mi chiedevo in quel rientro a casa, la testa appoggiata al finestrino, gli occhi persi nella luce trasparente della pianura, e non è questa, ricerca di "umana compagnia", non è questo riscoprirsi "compagni di viaggio"? Che poi il viaggio ci porti a Voghera, Genova o nelle Indie, non è questa umana solidarietà? Lo spirito non è uguale?
Non siamo noi uguali, calati in un moderno medioevo, a quei mercanti che spingevano lunghe file di muli, zoccoli ferrati, verso la cima erta dell’Antola, verso il precipitoso Ramaceto, verso il mare?
Disposti a temere, pur di arrivare. E forse anche a noi, viaggiatori del nostro pur avventuroso tempo, è dato provare la sottile emozione di gridare "mare", così come secoli fa qualcuno, abituato a guardare il mare, gridò "Terra!"
La via del Mare ha molti percorsi, lungo i crinali che s'intersecano dalla Pianura Padana verso la costa, ma noi prendiamo un sentiero che porta verso Capanne di Cosola e Gorreto.
Il verde pieno ha lasciato il passo ad un giallo ocra di cui sono tinti i pascoli dopo la calda estate, il sentiero si apre chiaro dinanzi a noi, largo, gira garbatamente intorno alle vette più alte, senza ripide salite. E' agevole il passo e il Monte Carmo com’è facile da raggiungere! Ancora pochi passi e sbuchiamo a Casa del Romano.
Una semplice casa in sasso offre generi di conforto e rifugio, una sosta meritata prima di guadagnare la vetta dell'Antola. Il sentiero è ben segnato: basta attraversare la strada asfaltata e, fatti pochi passi, lasciarla sulla sinistra per ritrovare i segnali.
Nei vasti pianori erbosi che si dispiegano sulle vette, è difficile tenere la giusta via e il sentiero si fa appena una traccia sottile, una linea che sale, scende, svolta, si ferma, a tratti sembra perdersi in piccole radure piene d’erbe incolte.
Bisogna salire, senza deviare a destra o a sinistra, salire ripidamente per un breve tratto, tra giovani faggi, già intrecciati e contorti dal vento delle cime.
I viandanti si stringono, d'improvviso timorosi, davanti a loro tre croci si ergono solitarie tra l'erba: forse vittime di briganti Saraceni, che pure si spinsero fin in alta Val Borbera a bruciare e saccheggiare Carrega e i borghi intorno? Le tre croci, donde il nome al monte ed al passo, ricordano l’umile morte di tre boscaioli, sorpresi dalla tormenta in un giorno d’inverno, muta testimonianza che non solo il mare esige il suo pedaggio, ma anche la montagna è rapida a ghermire le sue vittime.
Trascorriamo così, fuori dal bosco, e ritroviamo una larga carrereccia in salita: senza rendercene conto siamo arrivati sulle pendici del Monte Antola; vetta tra le più alte di questi gioghi.
Il sentiero costeggia vecchie case che già propongono la semplice architettura montana ligure.
Un’architettura estremamente pura, essenziale nelle sue pietre grigie, sottili, scabre, come le montagne che pian piano andiamo scoprendo.
Montagne che hanno lesinato solo il superfluo, ma spesso anche il necessario a chi le abitava, a chi ogni giorno ne percorreva gli aspri sentieri con greggi o grandi ceste di vimini intrecciate.
Montagne che hanno pagato pesantemente la loro povertà: case diroccate, ricolme d'erbe e di fichi contorti, sentieri sgretolati sui dirupi; nessuna mano, delle tante che si chinarono a rimettere al suo posto la pietra caduta, è presente. Tutta la Liguria, lontano dalla costa rumorosa e distratta, nel cuore del suo entroterra inaridito, sventrato dagli incendi, conosce quest'abbandono, tragico, immoto, come gli occhi neri delle finestre nelle case diroccate.
Poco sotto la cima dell’Antola c’è un piccolo rifugio, con tavoli e panche all’aperto, dove si può consumare il pranzo al sacco o gustare un buon piatto. I pellegrini ci osservano stupiti: ma non è nel nome della civiltà, non è per portare la civiltà a popoli lontani che si affrontano tanti pericoli, si solcano i mari, si scoprono nuove terre?
Sarà meglio affrettarsi, pensano, poichè la civiltà è ancora lontana e scrutano il cielo, timorosi di scorgervi l’ombra del tramonto, presaga del buio e dell’urlìo lamentoso dei lupi.
Il sentiero scende sassoso in una bellissima faggeta, sparsa qua e là da giganteschi massi, chiazzati di muschio. A poco a poco si restringe, serpeggia tra alte felci e macchie di sambuco, tradendo l’avvicinarsi del fondo valle.
Alla nostra sinistra si scorge il lago di Brugneto, che dà l’acqua preziosa a Genova. Ad un tratto il sentiero scavalca bruscamente il crinale, portandosi sull’altra Valle e percorre un buon tratto immerso nel bosco.
Un tacito silenzio scende sul gruppo timoroso: il giorno declina e gli alberi intrecciatisi sul capo schermano ancor più la sua luce. Una vaga penombra vela le cose, rende incerti i contorni: il piede, già stanco, pure s'affretta per riconquistare i prati aperti e luminosi.
D’improvviso il crinale è scavalcato, il bosco lasciato alle spalle, la mulattiera ora torna a dispiegarsi chiara e precisa, con le sue pietre incastrate pazientemente l’una accanto all’altra; scende decisa. Già i primi alberi da frutto ci avvertono dell’avvicinarsi dei paesi: Donnetta è il primo che incontriamo con la sua piazzetta adorna di platani e panchine.
Con quanta letizia avranno scorto i viandanti le strette alte case di Torriglia, rumorose di luce e di gente! Non resta che cercare un’osteria, una buona zuppa calda, magari un bicchierotto e poi buttarsi giù, sfiniti, ma stringendo forte la bisaccia.
Noi percorriamo le stradette a lato della via principale e cerchiamo un’osteria per ricevere asilo, ma soprattutto squisiti piatti al pesto!
La sveglia suona all’alba, perchè la corriera parte alle 7 dal deposito per portarci fino a Bergagli.
Un tempo molti sentieri congiungevano Torriglia con S. Alberto ma il tempo e l’abbandono li ha resi difficilmente individuabili. Lasciata Bargagli imbocchiamo la strada asfaltata che porta a S. Alberto, piccolo paese quieto e silenzioso, alle prime luci del nuovo giorno. Un grande monumento dedicato ai partigiani si innalza in mezzo alla piazza principale. E’ il primo di una lunga serie, poichè tutta la zona fu testimone della durissima lotta che si combattè alle spalle di Genova.
Alziamo gli occhi da questi tristi ricordi e d’improvviso qualcosa ci prende, un luccichìo, un lontanissimo azzurro misterioso il quale ci balza in petto: il mare!
Come sarà corsa di bocca in bocca questa parola ai pellegrini attoniti, genuflesso qualcuno in muta, pagana adorazione o in celeste preghiera. Più forte ora i mercanti aizzano i muli, ma quel mare che brilla all'orizzonte è ancora lontano e la strada di chi va a piedi non è così diritta come quella dello sguardo che scorge la meta.
Anzi, adesso è tempo di stare attenti a non perdere la strada che, lasciato il crinale si addentra tra vallette e paesi.
Abbandoniamo il monumento ai caduti sulla nostra sinistra e prendiamo la strada asfaltata in discesa; dopo pochi tornanti sulla destra imbocchiamo una larga carrereccia immersa in un bosco misto attraversata da numerose cascatelle.
La sterrata ci lascia nuovamente sull’asfalto alla nostra destra una piccola cappella ricorda un’azione partigiana, due cippi bianchi sono posti all’inizio del sentiero. Lo imbocchiamo e, fatti pochi passi, sulla sinistra in discesa troviamo i bolli gialli su uno stretto viottolo. E’ una scorciatoia che ci permette di camminare tra il verde almeno per un po’ prima di riprendere la strada asfaltata fino ad Uscio.
In fondo al paese un tratto breve ma ripidissimo, ci porta fino all’ingresso della Colonia Arnaldi; casette svizzere sparse qua e là nel verde, per la cura e il ristoro dei beati che possono concedersi un periodo di riposo in questo luogo.
Non certo per i pellegrini che non frenano il passo, anzi s’affrettano.
E davvero il mare è con noi, nell’odore acuto che si sprigiona dalle piante aromatiche calpestate, nel profumo dei fiori di corbezzolo, nelle ruvide rocce, cui il vento marino non concede nessuna morbidezza. Pini ritorti, grandi felci circondano il sentiero, che, pur qua e là franato, mostra ancora i segni dell’antica cura, della maestria con cui le grandi ciappe erano incastrate per offrire un appoggio sicuro allo zoccolo dei muli carichi e guardinghi. A quota 580 incrociamo il passo della Spinarola: il mare è sotto di noi, brilla di mille sfaccettature, segue l’andare capriccioso della costa ligure, che ad ogni svolta offre nuove prospettive; bianche vele sotto costa, navi più grandi al largo, una nebbia sottile fascia l’orizzonte: guardano i pellegrini quella lontanissima sottile riga con occhi colmi di meraviglia con animo pieno di ansiosa curiosità.
Il sentiero volta a sinistra si fa stretto, disagevole per il lungo abbandono, a tratti precipitoso ed occorre frenare il passo, perché a volte le felci nascondono il vuoto.
Qualche punto franato verso il Monte Lasagna, 765 m, esige attenzione, occorre passarsi con cautela zaini e fagotti l’un l’altro. Ora il sentiero scende sempre seguendo il crinale, che separa il mare dalla Valle Fontanabuona, attraversa la strada carrabile al Passo Crocetta e s’immerge in un bellissimo bosco di querce.
Il giorno volge al termine: gli uccelli sentono il buio e pian piano tace ogni richiamo. D'un tratto il crepuscolo è rotto dal richiamo dolce e lamentoso delle civette, una, due, tre si rispondono da invisibili rami d’albero. Un tremito percorre il cuore dei pellegrini, i mercanti pungolano i muli, che affrettano il passo. Le ombre salgono rapide dal fondo valle: per poco si va così, sospesi tra chiaro e scuro, sembrano dar tregua ai viandanti, non volerli scoraggiare; poi inghiottire la lunga fila di uomini e animali.
Ma un chiarore improvviso ci assale; le querce maestose si ritirano, le ombre indietreggiano, davanti a noi è il mare, non più intravisto, ci riempie della luce del tramonto, libero da ostacoli.
La grande Chiesa di N.S. di Montallegro dispiega la candida facciata come in un abbraccio amicale. Corrono i pellegrini a bagnarsi nell’acqua benedetta, ad aggiungere nuovi ex-voto ai mille che tappezzano la Chiesa. Il loro viaggio è finito, ognuno ora raggiungerà la sua meta e certo passerà molto tempo prima che si avventuri di nuovo in una simile impresa.
A noi, che ogni giorno affrontiamo briganti e insidie, è concessa una lunga sosta sul terrazzo che guarda il mare, mille luci punteggiano il buio, fitte fitte vicino alla costa, via via più rade al largo, fino a confondersi con le stelle. E alzando lo sguardo agli infiniti disegni creati dagli astri, un’emozione ci coglie, forse un ricordo antico di altri sguardi, di altre stelle, unica guida del cuore umano nella vastità del mare.